Quello di auto Lux rappresenta uno dei più riusciti tentativi del governo italiano di proporre una vettura con alimentazione alternativa durante il periodo dell’autarchia. La cronica mancanza di benzina rendeva necessario, specialmente in un periodo in cui le sanzioni economiche a seguito della guerra in Etiopia rendevano più difficile l’approvvigionamento estero, utilizzare alimentazioni alternative almeno per l’uso cittadino delle automobili.
A partire da queste premesse nasce a Milano il consorzio chiamato Auto Lux, col fine di agevolare la cooperazione di diverse aziende operanti nella produzione di strumenti elettrici. Il consorzio presenta nel 1937 una vetturetta a tre ruote con alimentazione totalmente elettrica: le batterie si trova nel bagagliaio e i due posti secchi permettono solo un piccolo vano dietro i sedili.
Il progetto non decolla, non sembrano esserci richieste di vetture elettriche (a partire dal settembre ’39 verrà completamente vietata la produzione di vetture per uso civile in Italia) ma ci sono ancora due vie che l’azienda decide di percorrere: da un lato la produzione di veicoli commerciali, dall’altro la conversione di auto esistenti.

Il primo tipo di produzione vede un discreto successo, grazie a un’ampissima possibilità di personalizzazione dei mezzi, con una capacità fino a 12 quintali e una velocità massima di circa 35 km/h. Non numeri eccezionali ma più che sufficienti per ottant’anni fa. Non abbiamo trovato dati sull’autonomia, ma occorre sottolineare come per i veicoli elettrici d’antan la rapida sostituibilità di tutto il blocco batterie rendeva piuttosto veloce la “ricarica”.

Per quanto riguarda invece la convertibilità delle vetture, si sarebbe rivelata utile qualche anno più tardi, quando sarebbe stata vietata la circolazione delle automobili a benzina. Emblematica in questo senso è l’Alfa Romeo della foto sopra, una delle ultime conversioni dell’azienda prima della fine della guerra, sullo sfondo il Casello Sforzesco.
Curiosamente, la crisi del consorzio inizia con il termine della guerra e il ritorto al consumo di derivati del petrolio: nonostante il tentativo di introdursi nel mercato della produzione di vetture tranviarie, il consorzio si scioglie definitivamente nel ’48. La produzione totale nei circa dieci anni di attività è di soli cento mezzi, ma sfortunatamente nessuno è sopravvissuto.