Bentley può vantare una gloriosa storia costellata di grandi auto sportive: nei suoi cent’anni -quasi cento e uno- ha realizzato di tutto e di più, da grandi limousine a straordinari prototipi, ha vinto ben sei volte la 24h di Le Mans e ha riportato in vita l’auto sportiva di lusso dopo la seconda guerra mondiale. Più recentemente, La Continental è certamente stata una delle migliore auto degli anni ‘2000, certamente una delle più rappresentative del rinascimento stilistico che ha resuscitato le linee classiche degli anni ’50.
Eppure… Nonostante le sue indubbie qualità, il successo commerciale -eccessivo forse?- e l’amplissimo spettro di clienti -decisamente eccessivo- Bentley non ha mai tentato la pericolosa ma splendida strada delle serie limitate. Certo, c’è stata la collaborazione con Zagato, ma si è limitata ad alcuni magnifici ritocchi che, pur nobilitando l’auto, non ne hanno cambiato l’anima. Diversa è la più recente EXP10, disegno tutto interno alla Casa che, oltre a riscuotere il meritato successo, ha gettato le basi per l’ultima Continental, sacrificando alcune delle classiche linee in favore di un design futuristico. Il curioso connubio tra passato e futuro si realizza solitamente nei rendering di qualche appassionato e difficilmente si materializza nella realtà. Qualche fortunato disegno raggiunge i grandi saloni dell’auto o qualche concorso d’Eleganza, per poi cadere dimenticato negli sperduti magazzini delle Case automobilistiche. Sembrava il caso anche della EXP10. Non sarebbe neppure andata troppo male, c’è la Continental, ci si sarebbe potuti accontentare.
Non si sono però accontentati i 12 clienti che hanno già versato il deposito -che crediamo da solo possa aggirarsi sul prezzo di una Continental, visto la sbalorditiva cifra di 1,5 milioni di sterline, tasse escluse- ed hanno così ottenuto il privilegio di poter possedere la versione speciale della Continental: la Balacar.
Nonostante il nome singolare, che ricorda vagamente le velleità di costruttori di mezzi utopistici, come la mitica Amphicar, l’auto è un vero e proprio gioiello: di base è una Continental W12,quindi con motore da ben 650 CV, ma è l’esterno che merita attenzioni. Gli echi della EXP10 sono evidenti, ma quel che che colpisce a prima vista sono i fari anteriori. A partire dai classici ovali si notano due piccoli baffi -ma poiché anche un bambino sa che nell’antropomorfismo delle auto i fari sono gli occhi, sarebbe più corretto forse dire: due piccole lacrime- che seguono lo stile di alcune recenti Ferrari, come la P80C.
Le line aggressive, nette e muscolari non sono solo bellissime, ma anche funzionali all’aerodinamica poiché questo speedster si infila in quella curiosa nicchia di auto che, avendo la pretesa d’essere auto da pista, hanno l’obbligo assoluto di sembrare auto da pista. Cosa che ovviamente non sono: chi guiderebbe una Balacar in un trackday? L’auto sembra da pista ma è da usare in strada, come dimostrano gli interni.
Tralasciando di parlare della famosa fattura di Bentley, forse la Casa che ha più curato la propria artigianalità, occorre usare qualche parola per il legno usato negli intarsi e nel cruscotto. È Riverwood, e non è del tutto legno, essendo arricchito da colate di rame fuso. Ma non è questa combinazione di materiali che stupisce, ma il fatto che il legno è morto e si è conservato per gli ultimi 5.000 anni. Abituati alle folli cifre delle auto moderne, in cui 1000 CV sono ormai l’entry level delle hypercar, occorre ripeterselo. Cinquemila anni. Non sappiamo se sia la più antica forma di vita adornante un’auto, magari qualcuno si è incastonato un’ammonite nel volante, ma è certamente straordinario pensare che il tuo cruscotto fosse un albero tremila anni prima Cesare, Virgilio e Augusto. Duemila anni prima della guerra di Troia. Quando l’albero morì, si stavano posando le prime pietre di Stonehenge, a malapena in Mesopotamia si iniziava a incidere su delle tavolette qualche carattere. Fa venire il mal di testa. Eppure è nel cruscotto di quest’auto.
Spiace un po’ che questo portentoso pezzo di storia sia stato montato su un’auto certamente bella, ma che pecca del fascino immortale di ben altre Bentley di ben altri tempi. Il centenario, come spesso succede, ricorda sì un passato glorioso, ma fa dubitare di un altrettanto generoso futuro.