Nel percorso che abbiamo cominciato tra le defunte case automobilistiche ci siamo imbattuti nell’incapacità di riconvertire le attività belliche in produzione di automobili, oggi vediamo l’esatto opposto: un’azienda dalle ottime capacità commerciali che viene spazzata via dalla marea della prima guerra mondiale. Fondata nel 1906 dal marchese Giulio Pallavicino, l’Aquila Italiana fu una piccola azienda con un grande potenziale, ma che si vide tarpate le ali appena dopo aver intrapreso un volo ammirato in tutto il mondo. Per la storia della vettura dobbiamo spostarci in uno dei luoghi di maggiore fermento nella storia dell’automobilismo, la Torino di inizio ‘900.

Come abbiamo detto, la casa venne fondata grazie all’interessamento del marchese Pallavicino, ma il vero motore dell’azienda fu per quasi tutta la sua vita l’ingegnere Giulio Cesare Cappa (tipico nome da Italia tardo ottocentesca) che, fresco fresco di laurea in ingegneria meccanica, appronta un piccolo laboratorio per la rielaborazione di motori a scoppio e ha tra i suoi clienti proprio il marchese. Questi, uomo legato al mondo dell’auto essendo tra le altre cose importatore di Napier e cofondatore di Itala, vede giusto nel giovane e decide di finanziarlo, lasciandogli carta bianca nello sviluppo di prototipo. La vettura ha molto successo al Salone dell’Automobile di Torino del 1906, in particolare grazie ad importanti innovazioni, tra cui i pistoni del motore in lega leggera, e il Marchese fonda un’azienda per produrla in serie, la Società Anonima Aquila. Italiana viene aggiunto in seguito alle proteste della tedesca Adler.

A seguito dell’importante finanziamento della Banca F.lli Marsaglia, l’impianto industriale viene edificato secondo i più moderni criteri, godendo di ampie superfici e di ottima tecnologia, ma gli ambiziosi obiettivi di Cappa e di Pallavicini richiedono ulteriori capitali. Il Marchese smuove le sue conoscenze e ottiene alcuni colloqui a Milano, ma la scelta di andarci in auto si rivela fatale: nei pressi di Magenta ha un incidente presso un passaggio ferroviario e Pallavicino muore sul colpo. Per l’azienda sembra la fine e già si iniziano a licenziare le maestranze, ma l’interessamento di Vincenzo Marsaglia, figlio del presidente della banca che ha dato il via all’impresa e grande appassionato di motori, permette il risollevarsi dell’Aquila. L’ing. Cappa, che ha continuamento diretto l’azienda, può finalmente iniziare la produzione di serie, mentre sotto la spinta di Marsaglia vengono intensificati gli sforzi agonistici, ottenendo discreti risultati. Tra le vetture prodotte in questo periodo si annoverano motorizzazioni a quattro e sei cilindri con cilindrate da tre a sette litri. Il modello di maggiore successo è probabilmente la sportiva 20/30 HP, con cui la Casa corre la Targa Florio e il Giro di Francia.

Con l’avvicinarsi del conflitto mondiale e con il crescente desiderio di riarmo in Europa, l’Aquila decide di continuare a produrre solo veicoli leggeri, ottenendo i maggiori successi e godendo, fino alla definitiva entrata in guerra dell’Italia, di un ottimo successo commerciale. Ma già il primo anno di guerra rivela che nemmeno la solidità economica dell’impresa può resistere all’annullamento della domanda. Già alla vigilia del conflitto, in seguito ad alcuni dissidi, l’ing. Cappa ha abbandonato l’azienda -venendo subito assunto da FIAT– e ora manca una personalità che possa condurla in un così difficile momento: già nel 1916 il controllo viene assunto dalla SPA, che assorbirà definitivamente l’Aquila l’anno successivo.

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