Bugatti 101 ~ un mancato successo

Vera Fenice del mondo delle auto, Bugatti è morta e risorta almeno quattro volte, senza contare gli esperimenti subito abortiti. Per quanto sia affascinante la storia di questo incredibile marchio -e soprattutto come sia cambiata la sua immagine in centodieci anni di storia- è su uno dei tentativi falliti che ci vogliamo concentrare: un caso più unico che raro, crediamo, nella storia dell’automobilismo.

Una veloce introduzione: siamo a metà degli anni ’60, le fuoriserie sembrano il futuro dell’auto, la crisi del petrolio è ancora lontana e tutti vogliono una bella GT. Qualcuno pensa di resuscitare Bugatti, un marchio scomparso definitivamente una decina di anni prima. Sembra un’azione impossibile: il nome e la fama sono troppo legati alla famiglia per poter sopravvivere senza, come del resto era successo dopo la morte di Jean e di Ettore. Però la voglia di auto sportiva di alta gamma c’era, e anche le capacità di costruire una degna erede della Type 55 e 57.
L’idea era semplicissima, la stessa di tutti gli aspiranti costruttori all’epoca: fare una grande auto, portarla a un salone e trovare fondi. Il problema è che questa idea aleggiava tra tutti gli appassionati, ma in nessuno sufficientemente forte da voler rischiare. Eppure per un attimo sembrava fatta, tutto grazie a un americano.

La magnifica coupé Antem. Arts & Elegance, Chantilly 2015

Prima di trattare dello chassis in questione, occorre fare un passo indietro, e poi un altro ancora, per capire di cosa si stia parlando. Bugatti aveva chiuso i battenti nel ’51, da allora non c’era nulla, né una fabbrica né un ufficio, che si riferisse al marchio. Era anche un periodo in cui pochi collezionisti si interessavano alle auto “d’epoca”, si guardava quasi solo al futuro, quindi non sarebbe sembrato così grave prendere un vecchio chassis, carrozzarlo in maniera completamente moderna e metterlo su un piedistallo.
E qua facciamo il primo passo indietro: lo chassis scelto è l’ultimo, rimasto nudo, della Type 101, un’auto realizzata in dieci esemplari, tutti diversi, ma destinata a un triste destino, è quasi completamene scomparsa dalla Storia della casa. Ovviamente paga il fatto che si tratta di un’auto realizzata senza un Bugatti alla guida dell’azienda, ma è un peccato perché alcune di queste auto sono dei veri capolavori, si pensi alle coupé di Antem e Saoutchik.
E ora il secondo velocissimo passo indietro: la 101 è fondamentalmente l’evoluzione della Type 57, una delle migliori auto sportive in assoluto, e ne aveva eliminato anche alcuni difetti -come per tutte le auto degli anni ’30 aveva nei freni il proprio tallone d’Achille- ma pagava anche il fatto che fosse una vettura decisamente anziana.

Torniamo al tempo della nostra storia e ai favolosi anni ’60, come abbiamo detto la fame di fuoriserie era molta, e di nomi oggi famosi ne nascevano ogni anno, giusto per citarne qualcuno: Lamborghini, Monteverdi, De Tomaso, Marcos. Di tutti i nati in quegli anni giusto una manciata sono sopravvissuti fino ai nostri giorni -fondamentalmente solo Lamborghini- ma che pazzie che ci hanno regalato! Immaginate come sarebbe potuta sembrare una Bugatti negli anni ’60! Incredibilmente, possiamo non solo immaginarla ma vederla e persino guidarla.

Virgil Exner, celebre per i suoi disegni alla GM, acquista nel ’61 uno chassis non completato, pronto per ricevere una delle sue fantasiose carrozzerie. Avendoci lavorato precedentemente, il carrozziere a cui far materializzare la sua visione non può che essere Ghia, che non delude le aspettative. Essendo l’auto pensata per Exner stesso, gli interni della vettura sono disegnati dal figlio Virgil Junior, la cui felice mano definisce uno stile da vera concept car, pur rendendola comoda e vivibile. Nel suo complesso il lavoro familiare funziona e l’auto è un vero gioiello, grazie anche al recente restauro.

Gli esterni lasciano semplicemente a bocca aperta, ogni dettaglio dell’auto è estremo e -miracolosamente- perfettamente integrato nell’insieme; perfino la calandra tonda si armonizza. Quest’ultimo punto è rilevantissimo e mostra le doti di Exner, basti pensare alla disastrosa soluzione adottata da Voll & Ruhrbeck su una Tyipe 57 C che sarebbe stata a mani basse una delle auto più eleganti di tutti i tempi. E’ invece incredibile come si armonizzi in un frontale che per molti aspetti è assurdo: per proporzioni, per linee, per cromature esagerate.
Lo stesso si può dire del posteriore, forse meno riuscito dell’anteriore, ma integrato bene con la rigida linea laterale della vettura, linea che è la vera protagonista dell’auto, un unico tratto dal muso alla coda, bassa, tesa e mossa in equilibrio perfetto.

Si resta stupiti del fatto che, eccezion fatta per la calandra, non vi è nulla di esplicitamente recuperato da precedenti modelli. Questa non è una dedica o un replica, è un’auto pensata per essere la Bugatti della rinascita, una T57 per gli anni ’60. Si può dubitare che una linea così affilata sia la corretta interpretazione dell’Idea Bugatti, ma il desiderio una creazione completamente originale, di un’auto pensata per una ristrettissima élite che ne potesse apprezzare un design -è inutile scomodare lo spettro dell’Atlantic- completamente differente rispetto al resto dei concorrenti è pure Ettore Bugatti

Punto forse dolente della vettura è la meccanica, vecchia di circa trent’anni: si pensi che il motore, sebbene sviluppi un rispettoso 200 cavalli, è ancora quello della T57, un otto cilindri in linea da 3,3 litri. Il problema non era però tra i più rilevanti all’epoca, visto che la vettura doveva mostrarsi principalmente ferma al Salone di Torino del ’65, nel maldestro tentativo di riportare in vita la marca. Maldestro semplicemente perché era più una volontà generale che quella di un gruppo di persone realmente disposte a metterci competenze e capitali. Ghia non aveva le capacità di costruire vetture autonomamente, forse avrebbe potuto farlo Exner, ma l’auto era per lui un gioiello di famiglia e non l’inizio di un nuovo percorso.

Nella sua incredibile storia fatti di salti, di fermate, di corse e rincorse, Bugatti ha realizzato alcuni dei modelli più incredibili nella storia dell’automobile, non deve perciò sorprendere che lo chassis 101 506 non sia la stella più luminosa di questo firmamento. Del resto è già audace definirla una vera Bugatti. Eppure noi vogliamo essere audaci e ci spingiamo oltre: questa è l’ultima vera Bugatti.

Vive la Marque!

Le foto sono prese da Supercars.net e Car Styling


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