A differenza della maggioranza delle protagoniste di questa serie di articoli, l’azienda di cui stiamo per parlare oggi è sicuramente già conosciuta dal nostro lettore, ma pensiamo sia comunque interessante una panoramica di quella che è stata, anche se solo per un decennio, una delle attività parallele di questo colosso. Tranne che per alcune giganti aziende asiatiche, il mercato automobilistico è composto generalmente da imprese specializzate, magari operanti anche nel settore delle macchine industriali, ma che non hanno prodotti completamente diversi da quelli a due o quattro ruote: difficilmente utilizzeremo una lavatrice Mercedes o sentiremo suonare un pianoforte BMW. Coreani e Giapponesi invece hanno un punto di forza proprio nei loro agglomerati industriali (diversi per molti aspetti e chiamati rispettivamente Chaebol e Keiretsu: oggi siamo eruditi) che all’interno della stessa azienda possono occuparsi di smartphone e di portacontainer, si pensi a Samsung per esempio. In Europa, sul finire della Prima guerra mondiale, alcune grandi imprese tentarono di fare lo stesso, convertendo la produzione bellica in civile, nei più disparati settori. Ansaldo fu tra queste aziende.
Già prima del termine del conflitto l’ingegnere Guido Soria, direttore della fabbrica di motori aeronautici di Sampierdarena, propose al presidente Perrone di sviluppare una vettura che potesse impiegare le risorse dell’azienda negli anni successivi al conflitto. Ansando non era del tutto nuova al mercato delle automobili, avendo provato a realizzare prima del Guerra un modello basato sulla Peugeot Bébé, ma con carso successo. Si può quindi capire la cautela con cui Perrone approvò il progetto di Soria, pose la condizione che il prototipo venisse presentato entro un anno, desiderio del resto esaudito appena in tempo: l’auto è pronta a metà 1919 e venduta a partire dal 1920. Si tratta di una vettura media, la Ansaldo 4 A, dotata di un motore piuttosto sofisticato da due litri e 35 cv, non male per l’epoca.
Prima però che la produzione potesse iniziare a pieno regime nelle officine di Torino, il fallimento della Banca Italiana di Sconto, tra i maggiori azionisti di Ansaldo, rende necessari complessi assestamenti societari, fino ad arrivare alla S.A. Automobili Ansaldo nel 1923. L’auto, il cui progetto è ormai vecchio di quasi quattro anni, non è più competitiva rispetto alle FIAT che iniziano a imporsi nel panorama nazionale. Il problema delle partecipazioni è molto sentito in tutti i grandi conglomerati che hanno provato a cimentarsi nel mondo dell’automobile, e ritentiamo anche che questa fosse una delle cause dei numerosi fallimenti di questo tipo negli anni ’20, un periodo in cui il susseguirsi di innovazioni richiedeva sì grandi capitali per gli investimenti, ma soprattutto l’agilità di sapersi continuamente trasformare. Agilità che ad Ansaldo è chiaramente mancata.
La nuova azienda, guidata da Soria in qualità di amministratore delegato, propone per prima cosa una versione aggiornata della vecchia vettura, chiamandola 4 C, e successivamente una nuova motorizzazione a sei cilindri. Nel tentativo di mantenersi al passo con la concorrenza, aggiornando entrambe le vetture con una versione “spinto”, da cui il nome 4 CS e 6 AS. Queste vetture rimasero in produzione fino all’inizio degli anni ’30, scomparendo poi per la mancanza di domanda, del resto erano vetture fondamentalmente vecchie di dieci anni. Nonostante fossero ormai soprassate dal punto di vista tecnico la qualità rimase di prim’ordine, tanto che Nuvolari ottenne le sue prime vittori di carriera proprio con alcune Ansaldo, ma il merito poteva anche essere del pilota…
Vera novità fu invece la Tipo 10, un’utilitaria che sfruttava una parte della componentistica della Ford Model T, ma, nonostante il prezzo contenuto e la qualità relativamente elevata, non riesce a resistere alla concorrenza FIAT e si rivelerà un mezzo fallimento. Altri progetti nuovi non vengono introdotti e gli altri modelli in produzione, come la Tipo 14 e la Tipo 15, non sono altro che ulteriori rielaborazioni della originale 4 A.
Nel ’29 Ansaldo decide di cambiare mercato, orientandosi verso le auto di fascia alta. Grande errore: nel giro di un anno la crisi economica mette in ginocchio l’industria automobilistica e la già fragile Automobili Ansaldo, minacciata fra l’altro di un assorbimento da parte di FIAT, fallisce, finendo alla fine nelle mani di O.M., che si occuperà dell’assemblaggio e della vendita dei telai rimasti in fabbrica. Si trattava di due modelli tutto sommato buoni, la Tipo 18 a sei cilindri e la Tipo 22 a otto cilindri, disponibili con carrozzerie disegnate da Farina e Montescani.
La storia di Ansaldo come costruttore di automobili finisce quindi nel ’32 sulla scia della grande crisi: come per molti costruttori sorti sul finire della seconda guerra mondiale, ha prodotto vetture per poco più di dieci anni. Con Ansaldo muore l’ultimo possibile concorrente per FIAT che, proprio negli anni ’30, conoscerà il successo commerciale della 508 Balilla.
Nella foto di apertura un’Ansaldo 6B in compagnia di una Maserati 26B MM, alla partenza della 1000 Miglia 1928.
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