Asa ~ un cavallino mancato

Come per lo scorso articolo, anche la storia di oggi parte da un salone di Torino, ma quello di cinquantacinque anni dopo, siamo infatti nel 1961. Se si pensa al mondo delle auto negli anni ’60, non possono che venire in mente alcuni grandi nomi, d’aziende e di uomini: FIAT, Ferrari, Colombo, Bizzarrini, Chiti, Bertone, Giugiaro. Nell’auto che raccontiamo oggi ci sono tutti, ma se avesse avuto successo non sarebbe in questa collezione d’articoli: eppure possiamo affermare che è l’azienda per cui ci è spiaciuto di più finora, perché l’idea era decisamene lodevole.

Nella seconda metà degli anni ’50 il desiderio di correre a prezzi contenuti era ancora alto, ma l’era degli Etceterini stava piano piano scemando, al loro posto nascevano alcuni famosi elaboratori, primi fra tutti Abarth e Giannini, che, partendo dalle meccaniche FIAT, realizzavano delle sportive di piccola cilindrata, apprezzate soprattutto da un pubblico giovane. Il mercato sembrava in crescita e per entrarci non occorrevano grandi investimenti. Tra gli interessati figura anche un insospettabile: Enzo Ferrari. Nonostante il successo ottenuto con le gran turismo della Casa, intravede l’opportunità di ampliare il portafoglio di veicoli e finanziare il reparto corse.

Anche in rosso l’auto ha ben poco di Ferrari, foto di Thesupermat

Avvalendosi dei propri progettisti, inizia la costruzione di una vettura che potesse occupare la nicchia posta sotto -molto sotto- all’entry level della casa, vale a dire la 250 GT. Si noti bene, con progettisti si intende il meglio di allora: Chiti avrebbe ridotto il celebre 250 di Colombo, trasformandolo in un quadricilindrico da un litro, mentre Bizzarrini avrebbe elaborato il telaio a partire da niente meno che la 250 GTO. Come fondamenta non sembra male. Il prototipo che ne risulta, in buona parte basato su meccanica FIAT 1200, ha però un motore che viene giudicato troppo piccolo, è di soli 850 cc, e si decide quindi di rimandare la presentazione all’anno successivo, quando ne verrà costruito uno da 1.032 cc e 97 cv. Si ripensa anche alla carrozzeria, la cui realizzazione viene affidata a Bertone: sarà un giovanissimo Giugiaro a firmare l’auto definitiva., molto diversa dalle Ferrari di allora.

Nonostante alcuni bei dettagli, l’auto non è certo il capolavoro di Giugiaro. Fotografia di Cloverleaf II

Ed eccoci arrivati al fatidico 1961, alla presentazione di Torino. Da qualche mese il Drake è divenuto dubitoso, pensa di perdere la reputazione duramente costruita di costruttore di vetture d’élite con un’auto del genere, non è più sicuro di volerla pubblicizzare come Ferrari. Anzi, non è più sicuro di volerla produrre. Alla fine si opta per un compromesso: l’auto è presentata allo stand di Bertone e sul cofano ha solo un badge tricolore, ma nessun cavallino rampante. Nonostante gli appassionati comincino subito a chiamarla la Ferrarina, Enzo non è ancora sicuro e il progetto sembra naufragare definitivamente, ci vorrebbe infatti qualcuno che se ne accolli la produzione, lui non vuole averci nulla a che fare.

Le cose cambiano grazie all’interessamento di Niccolò de Nora, figlio del patron del gruppo elettrochimico omonimo, che propone di assemblare l’auto nei propri stabilimenti di Lambrate tramite una nuova società, la ASA. A Enzo la soluzione piace, potrà infatti controllare parte della fabbricazione -del resto da Modena arrivano motori e telaio- senza metterci troppo la faccia, rende addirittura disponibile la propria rete vendita per commercializzare la vettura. Ma questo fu probabilmente un errore. La carrozzeria rimane quella disegnata da Giugiaro, e Bertone rifornisce la neonata azienda. La produzione deve aspettare qualche anno, del resto il Gruppo de Nora non ha esperienza nel settore automobilistico, ma la collaborazione con Modena e Torino permette all’ASA 1000 di vedere la luce

La produzione inizia definitivamente nel ’63, anno in cui è presentata a Ginevra la versione aperta in plastica e quella da competizione in alluminio con motore centrale e cilindrata da 994 -pensata per prendere parte alle corse per vetture sotto il litro, in cui non brillerà-, ma le vendite non decollano. Manca un nome importante che la possa pubblicizzare, manca la sportività legata al mondo delle corse e infine il venderle nei concessionari Ferrari frena la clientela estranea al marchio, che paradossalmente è appunto quella a cui l’auto è indirizzata. Nel tentativo di risollevare le sorti dell’azienda ci si affida a Luigi Chinetti, che pubblicizza l’auto con un esplicito riferimento a Ferrari, ma anche questo non basta, del resto l’auto non era pensata per il mercato americano e difficilmente ne avrebbe incontrato il gusto.

Tentando di cambiare un destino orami segnato, si provano nuove combinazioni: vengono introdotte nuove motorizzazioni, a partire dall’evoluzione del modello presentato a Parigi nel ’65, con potenza elevata a 104 cv, mentre negli anni successivi vedono la luce un sei cilindri da 1.300 cc e un quattro cilindri da 1.800. Questi ultimi motori erano disponibili per la versione RB 613 del ’66, con carrozzeria targa in cui RB significa Rollbar. L’anno successivo la ASA era in liquidazione. Bisognerà aspettare il ’69 per vedere una Ferrari low-cost di successo, ma ne varrà la pena.


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