Nome curioso quello del costruttore che affronteremo in quest’articolo. Come curiosa è anche la nascita della sua prima vettura, anzi della prima cyclecar. In effetti l’auto in questione -perché l’azienda ha prodotto solo un modello- è stata la prima vera fusione di un’auto e una moto, una categoria che negli anni precedenti la Prima guerra mondiale riscontrerà un notevole successo.
Tutto nasce nel 1909 quando Robert Bourbeau ed Henri Devaux, dopo un incidente in moto, decisero di unire il poco della meccanica sopravvissuta per costruire in proprio qualcosa di completamente nuovo. I due ragazzi, appena diciottenni, progettarono con fondi limitatissimi quella che pensavano potesse essere l’auto del futuro, partendo però dalle concezioni che possedevano riguardo la meccanica della motocicletta. Sicuramente possiamo definire come automobile il risultato dei loro sforzi, ma le somiglianze con le altre auto del periodo si limitano al motore a scoppio e alle quattro ruote. Prescindendo dall’economicità con cui venne realizzato il prototipo -si pensi che i sedili erano in juta recuperata da sacchi del carbone- le soluzione adottate erano radicalmente differenti da quelle presenti nel mercato: oltre a una curiosa sospensione centrale per l’asse anteriore -ma le sospensioni erano una diversa dall’altra all’epoca- quel che più colpisce è la configurazione a tandem, con il passeggero davanti al guidatore, e di conseguenza una lunghissima trasmissione a catena che, attivata dal guidatore, necessitava del passeggero per essere spostata in una delle due possibile marce.
Insomma: una creatura goliardica pensata per essere un gioco tra amici, invece…

Foto di Edisteewr e Duch.seb
L’origine del nome Bédélia, che identifica l’auto e l’azienda, non si conosce e forse è una contrazione dei nomi dei due amici. Più interessante è invece il nome che verrà dato alla categoria di automobili derivate da questo primo abbozzo: in francese voiturette e in inglese cyclecar. Differenza importante questa, nel primo caso si mette l’accento sul fatto che si tratta di automobili con qualcosa in meno, ma comunque automobili a pieno titolo -e infatti l’apice delle voiturette della Belle Epoque sarà la Peugeot Bebè disegnata da Ettore Bugatti- nel secondo caso invece si pone maggiore attenzione all’origine motociclistica dell’auto. I nomi differenti identificano in realtà mezzi leggermente diversi, si pensi alla Morgan Three-wheeler: chiaramente una cyclecar, ma chi l’avrebbe definita una voiturette, con quelle tre ruote? I due termini, nati come sinonimi, divennero nel tempo due categorie diverse, ma strettamente legate, di veicoli.
In italiano i termini usati all’epoca furono vetturelle e autocicli, ma la produzione nazionale fu trascurabile.

Foto di Kev22
Il successo che la Bédélia riscontrò in ambito strettamente locale non tardò a spingere i giovani a intraprendere una produzione di serie decisamente più vasta. Tra i pregi del veicolo -oltre ai costi di produzione bassissimi- si annoveravano sicuramente il peso ridotto, appena 150 kg nelle prime versioni, e la velocità piuttosto elevata, superiore ai 70 km/h, per l’epoca appannaggio di vetture ben più costose. Le prestazioni erano permesse da un motore monocilindrico -poi sostituito da un due cilindri a V- capace di erogare circa 10 cv di potenza nella Type A del 1910. Negli anni successivi seguirono la Type A1 e la Type BD1, con cilindrata di un litro e potenza accresciuta. Nelle ultime versioni il passeggero non doveva più usare un bastone per spostare la catena da una marcia all’altra, questa è stata l’unica importante innovazione meccanica.

Foto di Spurzem
Il vantaggio di essere stato il primo costruttore di voiturette permise anche un discreto successo sportivo che ebbe culmine nel primo Gran Premio delle cyclecar ad Amiens: la gara vede in realtà come vincitore una Morgan Three-wheel, e la Casa di Malvern godrà a lungo della pubblicità ottenuta- ma il comitato decise che l’inglese fosse una motocicletta con sidecar e che la prima vera cyclecar dovesse essere considerata la Bédélia.
Un po’ di confusione con i nomi? Emergeva già la differenza tra la voiturette che pensavano i francesi e la cyclecar degli inglesi?
Al termine del conflitto i due amici decisero di vendere la proprietà dell’azienda a un certo Mahieux, che rinomina il prodotto col proprio nome e fallisce nel 1925: negli anni venti nessuno vuole un’auto da guidare in tandem e la trasformazione della carrozzeria operata dalla nuova gestione fece perdere il fascino della vettura originale anche a chi ricercava l’esperienza di dieci anni prima.
Foto in apertura di Rahil Rupawala