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Spesso nella Storia da grandi rivalità nascono grandi occasioni di confronto, di scontro e qualche volta di trionfo. E’ il caso della storia che stiamo per raccontare, una storia indubbiamente legata alla serie di articoli che abbiamo cominciato a narrare riguardanti lo scomparso produttore Pegaso, uno dei nomi leggendari dell’automobilismo anni ’50. In effetti è molto più che legata, nasce da questa rivalità e in particolare da un uomo, un personaggio che non gode di grande fama, neppure del mondo delle auto, ma che negli anni ’30 fu uno dei protagonisti della scena europea, vale a dire Wilfredo Ricart.
L’inizio, dalla laurea in ingegneria alle prime auto
Wifredo Pelayo Ricart Medina Francisco de Borja, dubitiamo legato alla celeberrima famiglia rinascimentale di Valencia, nacque a Barcellona, città che avrà un ruolo centrale nella sua vita, nel 1897, figlio del proprietario di una scuola nautica, curiosamente chiamato Marino. Fin da giovane appassionato di meccanica, Ricart poco più che ventenne si laurea in ingegneria e ottiene un lavoro come direttore della Vallet e Fiol, una ditta specializzata nella costruzione di pompe d’acqua, ma anche distributrice di Hispano-Suiza, un delizioso connubio che ben esemplifica il variopinto mondo dell’auto nei suoi primi decenni di storia.
Il desiderio di disegnare in prima persona le proprie vetture, specialmente da corsa, lo porta alla fondazione della Motores Ricart-Perez, con cui nel 1922 prepara diverse automobili da competizione. Pur trattandosi di piccole creature da 1,5 litri e quattro cilindri, riesce ad ottenere discreti successi regionali, tra cui un primo posto di classe nel Gran Premio di Barcellona per vetturette. Nel ’26 un nuovo passo in avanti, il nostro fonda la Motores y Automóviles Ricart, con cui presenta due bei prototipi al salone di Parigi, ottenendo un discreto successo di stampa ma un altro fallimento commerciale. L’azienda è salvata dal magnate Felipe Batlló, celebre per il palazzo fattosi costruire da Gaudì, la società diviene quindi Ricart-España. Anche in questo caso l’azienda sopravvive pochi anni: emerge già l’incapacità imprenditoriale di Ricart e la sua predisposizione allo sviluppo di soluzione molto complesse non sempre funzionali.
Alfa Romeo, terreno di scoperte e battaglie
Con lo scoppio della guerra civile in Spagna, la proposta di Ugo Sgobbato, amministratore delegato del Biscione, di divenire consulente in Alfa Romeo viene prontamente accettata dal giovane ingegnere, che si trasferisce in italia insieme a tutta la famiglia. Già l’anno successivo si sposta al più congeniale reparto corse, in un momento piuttosto delicato: Alfa aveva appena acquisito la Scuderia Ferrari, inglobandola nell’Alfa Corse e mettendo come direttore proprio Enzo Ferrari. Gli screzi tra i due non mancano, fino a sfociare in un odio duraturo, perlomeno di Ferrari. Lo strappo finale sarà proprio la decisione del Commendatore di separasi definitivamente e riprendersi la propria società. Con maggior spazio di manovra dopo l’uscita del Drake, Ricart sperimenta diverse soluzioni su vetture sperimentali che mai vedranno la luce, e di cui molte sfortunatamente sono andate perdute.
Tra i diversi prototipi non si può non annoverare la Tipo 162, con un V16 il cui innovativo sistema di compressione in diversi stadi avrebbe garantito prestazioni incredibili per un peso ridotto e la Tipo 512 Gran Premio, con motore boxer da 12 cilindri, adatta a fronteggiare le sempre più temibili frecce d’argento. La più preziosa è però la mitica Tipo 163, poco gentilmente soprannominata Scarafaggio, una berlinetta a motore posteriore con ruote coperte e ampia superficie vetrata, un capolavoro sfortunatamente perduto nel corso della seconda Guerra Mondiale.
Il ritorno in Spagna, tra furgoni e GT
Proprio la seconda Guerra Mondiale vede intensificarsi il lavoro di Ricart che, non limitandosi alle automobili, si concentra sulla costruzione di motori aeronautici. Al termine del conflitto l’improvvisa scomparsa di Gobbato, vilmente assassinato dopo esser stato assolto ben due volte da accuse di collaborazionismo, spingono Ricart a cambiare aria e dopo un iniziale interessatamento a una proposta della Studebaker, decide di tornare in Spagna, dove il regime sta tentando di riconvertire i vecchi stabilimenti Hispano-Suiza di Barcellona in moderne fabbriche di mezzi pesanti.
Chiamato alla direzione della società Enasa -Empresa Nacional de Autocamiones S.A.- e in particolare della controllata Pegaso, decide di intraprendere l’audace costruzione di una vettura da corsa per poter pubblicizzare il nuovo marchio e rafforzare l’immagine della Spagna in un Europa ancora scossa dalla guerra. Senza dubbio ha ben in mente il successo riscosso da Ferrari, impostosi nel 1949 alla 24 ore di Le Mans con la 166 MM. Nel ’51 al salone di Parigi, teatro, esattamente 25 anni prima, del suo debutto nel gran mondo delle auto sportive, viene presentata la Pegaso Z-102, un’auto che raggiungerà perfettamente il suo scopo. Pur rivelandosi un disastro dal punto di vista strettamente commerciale -alcune soluzioni di Ricart si sarebbero infatti rilevate troppo pesanti o delicate, oltre che inadatte alle competizioni- l’auto conquistò il conteso titolo di vettura di serie più veloce del mondo, rappresentando una vincente mossa di marketing per il giovane gruppo.
Gli ultimi anni, ovvero come trovare la propria strada
Dopo una decennale carriera alla direzione di Pegaso, nel ’59 Ricart decide di lasciare la sua posizione e di impegnare gli ultimi anni della carriera alla consulenza esterna, una posizione che gli permette di dedicarsi alla componente tecnica dei progetti senza dover impelagarsi nell’ambito economico. Nel frattempo Pegaso si sarebbe affermata come uno dei colossi spagnoli grazie a cui sarebbe stato possibile il boom economico del paese, un merito che gli venne riconosciuto anche all’estero, dove non mancarono riconoscimenti, tra cui la direzione della FISITA –Fédération Internationale des Sociétés d’Ingénieurs des Techniques de l’Automobile– di cui fu presidente da ’57 al ’59.
Si può dir molto di Ricart, certamente non gli si possono attribuire tutti i difetti di cui si fece portatore Ferrari, ma se un uomo si valuta dalla statura dei propri nemici, ci pare questo il metro corretto con cui la Storia ha valutato questo grande ingegnere.
Il ritrattto di apertura è di Eulogia Merle, ed appartiene alla Fundación Española para la Ciencia y la Tecnología