Come abbiamo visto negli articoli precedenti, Pegaso nacque con lo scopo pubblicitario di far conoscere il marchio di veicoli commerciali in Europa e nel Sud America. In un primo tempo non si pensava ufficialmente al mondo delle corse, ma è chiaro, guardando alla componente tecnica come nello scorso articolo, che l’idea di Ricart fosse quella di partecipare alle gare di durata dell’epoca, come adesso vedremo. Come si sarà intuito, ci dedicheremo ora all’approfondimento della storia sportiva di Pegaso.

L’esordio sportivo avviene nel ’53, in seguito agli ultimi sviluppi del motore, dotato di compressore sia nella cilindrata da 2,5 che da 3 litri. Durante la cornoscalata locale, ma comunque di una certa importanza, della Rabassada, in cui non mancavano concorrenti stranieri, la Pegaso riesce ad imporsi, infrangendo anche il precedente record nella competizione. Come abbiamo detto si trattava di una gara comunque di limitata importanza, incapace di garantire l’attenzione di una clientela internazionale. Ricart, che poco più di dieci anni prima, lavorando per Alfa Romeo, aveva partecipato alle principali competizioni europee, decide di provare a correre in quella forse più prestigiosa: la 24 ore di Le Mans.

Per l’occasione viene allestita una carrozzeria speciale, di tipo bisiluro, con motore e pilota alloggiati in due diversi scafi, collegati -non adeguatamente- da un ponte. Durante le prove la vettura del pilota Jover portata a massima velocità si disintegra, uccidendo all’istante il conducente. Tutti capiscono troppo tardi che l’auto non è adatta a prendere parte all’estenuante competizione e l’altra vettura viene ritirata prima della partenza. Il primo vero tentativo di prendere parte a una competizione internazionale fallisce miseramente prima di cominciare. Sorprendentemente, avrebbe rappresentato anche l’ultimo tentativo ufficiale di prender parte a una competizione di alto livello, la morte di Jover aveva forse scoraggiato ulteriori tentativi.
Il successivo -e ultimo- tentativo permette di comprendere le potenzialità non espresse della vettura e di immaginare i successi a cui avrebbe potuto tendere, se fosse sopravvissuta ancora qualche anno. L’obiettivo era ancora più arduo che terminare le 24 ore, non venne tuttavia intrapreso dalla Casa, ma da un privato: il figlio del presidente cubano Trujillo. Si trattava della Carrera Panamericana, e dell’ultima edizione, essendosi rivelata troppo difficile, estenuante e pericolosa. L’auto, guidata da Joaquin Palacio, rimase stabilmente al secondo posto per buona parte della competizione, prima che un incidente ne decretasse il ritiro. Si noti che al primo posto figurava una Ferrari 375 Plus, mentre la vettura che prese il posto della Z-102 era una Ferrari 375 MM: le prestazioni della Pegaso erano più che degne di nota, soprattutto se si tiene conto del fatto che il pilota al volante stava tenendo dietro niente meno che Phill Hill.
La storia sportiva della Z-102 non si può certo definire leggendaria, neppure storicamente importante, forse neppure sufficiente per poter parlare di una vera storia sportiva, ma certamente ha rappresentato un buon spunto per pensare alle due principali componenti delle gare di durata dell’epoca: fortuna e resistenza. Le Pegaso possedevano indubbie qualità, alcune di queste in misura certamente maggiore rispetto alle concorrenti, ma le mancavano entrambe queste chiavi, e forse Ricart lo sapeva.