Pegaso ~ …alle stelle

Nei precedenti articoli dedicati alla Pegaso abbiamo parlato del grande artefice della sportiva spagnola, Wilfredo Ricart, e del terreno in cui l’auto ha potuto svilupparsi, quello di una Spagna ottimista che puntava finalmente a una robusta ricostruzione. E’ ora il momento di parlare più dettagliatamente dell’auto che ci ha spinti a scrivere questa serie, vale a dire la Z-102, la prima -e quasi unica- vettura non commerciale prodotta dal marchio Pegaso.

Abbiamo già detto che l’auto fu in buona parte frutto di una trovata pubblicitaria per far conoscere nei paesi d’Europa e del Sud America il nuovo marchio -le ragioni furono in realtà più ricche di queste, e con calma le esploreremo in seguito- perciò era necessario produrre un’auto che rappresentasse il massimo della tecnologia per l’epoca. Passiamo quindi ad esporre un po’ di dati tecnici riguardanti la vettura, in primo luogo parliamo del motore.

Il motore

Tutte le GT che si rispettino hanno un grande motore anteriore e la trazione posteriore. Sebbene al giorno d’oggi ci siano delle eccezioni a questo storico schema costruttivo, nei primi anni ’50 la regola era ben applicata: DB2/4, 166 inter, B20, sono solo alcune delle lettere e dei numeri che evocano spettacolari avventura per mezza europa. L’altra mezza guidava Lada. E la Spagna, che dopo una sanguinosa guerra civile era finita in questa metà, voleva una vettura che potesse rivaleggiare le migliori creazioni dei paesi con cui aveva ormai riaperto i propri scambi.
Come disse un dirigente veterano della Pegaso, già dipendente di Hispano-Suiza: noi spagnoli siamo gente povera e fabbrichiamo gioielli per ricchi. Frase non proprio verissima, visto che buona parte delle Z-102 restò proprio nei confini nazionali, ma su una cosa aveva perfettamente ragione, la pegaso era certamente un gioiello per ricchi.

E quale poteva essere il motore che meglio rappresentasse il desiderio di ricchezza negli anni ’50? Ovviamente un V8. Con una capacità di 2474 cc, l’auto era idonea alla maggior parte dei campionati europei -le competizioni erano l’obbiettivo non dichiarato di Ricart- e in particolare alle difficili gare di durata dell’epoca. Altra prova del carattere sportivo della vettura, e del desiderio di vittorie sportive, era l’adozione del carter secco e la scelta di tre differenti rapporti di compressione: 7,5:1, 8:1 e 8,5:1 (aumentati tutti di 0,5 dopo il 1953. La potenza era dunque elevata, compresa tra 160 e 180 cv, ma già dopo poco tempo l’aumento dell’alesaggio l’aveva porta a 200 cv, con un aumento della cilindrata a 2816 cc.

Ricart però non era un ingegnere che si potesse sedere sugli allori e compiacersi della propria creatura, il continuo sviluppo del motore permise una versione potenziata da ben 260 cv, moltissimi per l’epoca, ottenuti grazie all’introduzione di un compressore Roots sul primo V8. Anche dopo quest’importante innovazione Ricart non si ferma e poco dopo compare la versione finale dell’auto, la Z-102SS. Le ultime due lettere nel mondo dell’automobile significano da sempre il massimo della sportività e in effetti la potenza di queste vetture oscillava tra 210 e 280 CV, in funzione che ci fosse o meno il compressore. Uno di questi bolidi da 3200 cc riuscì a strappare il record di velocità per vetture di serie a Jabbeke, toccando i 245 km/h.

La sospensione De Dion

Da sempre -ed è il caso i dirlo visto il fatto che il primo brevetto è del 1894- la sospensione De Dion ha rappresentato un’ottima soluzione per le vetture sportive, è stato infatti montato su Lancia Aurelia, diverse Alfa Romeo, Aston Martin e anche alcune Ferrari. Recentemente è stato utilizzato sulle Smart. Tuttavia la sua più ampia diffusione si ebbe nei primi anni ’50, quando era comune tra le vetture da GP, dopo alcuni pionieristici tentativi negli anni ’30 da parte di Mercedes. Ricart si cimentò nella progettazione di questo tipo di ponte già con alcune Alfa Romeo alle soglie degli anni ’40, ma non poté metterle in pratica a causa della guerra: era dunque arrivato il momento di sperimentare come avrebbero reagito i suoi progetti su una vettura reale. Il risultato fu piuttosto positivo, infatti anche se non propriamente confortevole, il ponte De Dion permetteva un’eccellente maneggevolezza, qualità che veniva ottenuta anche grazie al passo piuttosto corto, di appena 2337 mm.

Il telaio

Il vero tallone d’Achille della vettura era il telaio: realizzato con una struttura a traliccio tubolare con alcuni elementi a sezione quadra avrebbe potuto garantire un’ottima rigidità, ma la necessità di ribassarlo in corrispondenza delle portiere ne aveva compromesso la rigidità. Una soluzione migliore sarebbe stata probabilmente quella di incernierare le portiere in alto, ottenendo un’apertura ad ali di gabbiano, come sulla celebre Mercedes 300 SL. Una soluzione che avrebbe reso ancor più appariscenti alcune delle fantasiose carrozzerie realizzate su misura

Questa è una panoramica delle componenti più salienti della meccanica Pegaso, prossimamente si passerà alle carrozzerie che hanno reso questa vettura uno dei simboli della rinascita dell’auto dopo la seconda Guerra Mondiale

La foto di apertura è di Arbeyu e l’auto è l’esemplare conservato presso il Museo del Automóvil di Salamanca


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