Come abbiamo più volte detto, Pegaso era una un’azienda nata in seno all’ENASA con il preciso scopo di fornire veicoli pesanti all’economia spagnola, scopo che raggiunse perfettamente: i suoi camion si possono infatti considerare come la spina dorsale del miracolo spagnolo degli anni ’60, ma l’inizio fu tutt’altro che facile.
Per cominciare, lo stabilimento spagnolo della defunta Hispano-Suiza, abbandonato durante la guerra civile e riadattato alla costruzione in serie di veicoli pesanti, non era in grado a metà degli anni ’40 di realizzare nuovi modelli e la Pegaso HS G66 non era altro che un’Hispano-Suiza G66 carrozzata in maniera solo leggermente diversa. Il motore venne rinnovato da Ricart per la versione successiva dell’autocarro, il Pegaso Z-203, pur rimanendo a benzina, mentre di dovrà aspettare la terza evoluzione del ’49, ma il nome Z-202 ne tradisce l’anteriore sviluppo, per il primo autocarro diesel, prontamente soprannominato Mofletes, ovvero guance paffute, per la tipica forma della cabina.
Il successo inizia ad arrivare e il Mofletes diviene El Camion Español, il simbolo della rinascita economica a lungo attesa e che sembra finalmente a portata di mano per la Spagna. Non si deve tuttavia pensare che Pegaso fosse una marca locale che si potesse accontentare di un unico mercato, sebbene in ascesa, la strategia di internazionalizzazione attuata da Ricart -di cui faceva parte anche il progetto della Z-102- permise un discreto successo commerciale in tutta l’America Latina e anche nel Benelux, base della futura collaborazione con DAF.

Gli anni del successo
Frutto di anni di sviluppo, il Pegaso Z-207, detto anche Barajas dal nome dello stabilimento madrileno, mostra fin dal design innovativo una profonda evoluzione rispetto al predecessore, evoluzione sottolineata dal motore a dodici rapporti disegnato da Ricart stesso. Come il modello precedente era un veicolo estremamente poliedrico, in grado di adattarsi ad essere ora autocarro, ora trattore o pullman, in base alle differenti combinazioni possibili.
Nel decennio successivo il Pegaso 2011 segna il definitivo successo anche al di fuori dei confini nazionali, successo sottolineato dallo stabilimento SAVA di Valledolid, azienda inglobata da ENASA e che montava meccanica BMC. Gli anni settanta segnano l’apice della curva di Pegaso, ma anche l’inizio della sua decadenza, io record di auto vendute in un anno è infatti del 1974, in cui ben 26.000 Pegaso vennero prodotte, difficile immaginare che appena quattordici anni dopo, l’azienda sarebbe stata venduta, ma la morte nello stesso anno di Wilfredo Ricart poteva essere letta come un nefasto presagio. In effetti Pegaso entra negli anni ’80 con una discreta solidità, ma la crisi del settore si fa sentire ed è necessario concludere un accordo commerciale con qualche altro produttore: il mercato è ormai saturo.
Dopo la fallita acquisizione della britannica Seddon Atkinson, Pegaso riesce comunque ad allearsi con DAF, storica rivale nell’area del Benelux, creando congiuntamente la cabina Cabtec, che sarebbe stata montata sul Troner, il suo ultimo modello. Paradossalmente gli anni ’80 rappresentano anche il successo nel mondo delle corse, ma di questo parleremo separatamente.

Il canto del cigno
Nel ’90 cala il sipario sul marco Pegaso, completamente assorbito da IVECO: sopravviverà appena due anni continuando la fornitura di veicoli militari. Nonostante noi trattiamo quest’azienda per il valore della sua auto sportiva, sembra corretto elogiare a tutto tondo quel che ne ha permesso la costruzione, senza la Pegaso -ed evidentemente l’ENASA- non ci sarebbe stata la Z-102, ma sopratutto ha permesso la movimentazione di merce in un Paese che si preparava ad uscire da un’estesa ruralità per diventare una moderna economia e che aveva grande bisogno di una forte azienda nazionale di autotrasporti per farlo.
Pegaso l’ha fatto per quasi quarant’anni e in effetti continua tutt’ora a farlo, visto che i tre siti produttivi -Barcellona, Madrid e Valladolid- sono tutt’ora in funzione. Certo, adesso sono IVECO, ma nelle auto più che i marchi sul lungo periodo contano le persone che pensano, realizzano e vendono le auto, e il fatto che l’ENASA sia nata dalla Hispano-Suiza non può che confermare la nostra tesi.
La foto in apertura del è di Julio César Cerletti García, mentre quelle nel corpo dell’articolo sono di Spanish Coches, Isidoro Hernández e Luis García