1968 Serenissima GT Ghia

La collaborazione tra un produttore e un designer è da sempre una costante nel mondo delle auto, specialmente in quello delle vetture d’epoca, in cui il disegnatore dell’auto ne avrebbe poi anche curato la realizzazione della carrozzeria. A differenza di oggi, in cui i processi sono generalmente integrati all’interno della sola azienda produttrice, negli anni delle grandi fuori serie la collaborazione tra le persone era essenziale, così come poter contare su sempre nuovi talenti pronti a stupire i clienti e le marche bisognose di nuovi design. Tra le firme emergenti più rilevanti alla fine degli anni ’60 figurava un giovane americano, Tom Tjaarda, assunto a quel tempo dalla Ghia, sempre attenta ai gusti d’oltre oceano. Del resto proprio dall’altra parte dell’Atlantico proveniva il suo proprietario d’allora, lui stesso un importante costruttore: Alejandro de Tomaso, fondatore dell’omonima casa automobilistica. L’acquisto del celebre carrozziere torinese era una mossa acuta, non solo per poter produrre tutto internamente, ma perché lasciare Ghia come una società esterna e autonoma permetteva alla de Tomaso di mantenere contatti con gli altri costruttori, che chiedevano consulenze e disegni al carrozziere.
Vi era anche un terzo motivo per cui de Tomaso avrebbe volentieri accettato un progetto tramite Ghia, vale a dire l’opportunità di collaborare esternamente con un altro produttore per ideare un prototipo che avrebbe poi ripreso tramite la sua azienda. Ed è questo il caso dell’auto di cui trattiamo in questa articolo, vale a dire la Serenissima GT del 1968.

Presentata al salone di Parigi di quell’anno in un bel verde, questa vettura era frutto prima di tutto dell’amicizia tra il conte Giovanni Volpi di Misurata e Alejandro de Tomaso, amicizia che si basava sulla passione condivisa da entrambi: le auto. Il desiderio del Conte di produrre una gran turismo innovativa, dalla linea affilata e futuristica ben si raccordava con quello dell’argentino, che in fondo voleva la stessa cosa e che, a differenza della Serenissima, aveva già ottenuto con la Mangusta, prodotta a partire dal 1966. Il successo per la piccola de Tomaso derivò però dalla vettura successiva, la celebre Pantera, prodotta in più di 6.000 esemplari su un periodo di più di vent’anni, a partire dal ’71. È innegabile e si può affermare con quasi assoluta certezza che la Serenissima GT sia in realtà il primo prototipo della Pantera, perlomeno dal punto di vista stilistico, avendone in comune moltissimi elementi, dovuti certamente al fatto che il designer era Tjaarda per entrambe.

La linea di questa vettura, che ci spingiamo perfino a definire bella nonostante la nostra perplessità per le vetture cuneiformi del periodo, sarà ripresa in più auto negli anni successivi, non solo realizzate dal carrozziere torinese. Alcuni dettagli però spiccano anche su una silhouette così invidiabile, su tutti i quattro piccoli fori per le prese d’aria poco dietro i finestrini, tocco elegante e funzionale insieme. Questo tema tondo viene ripreso anche nel portante in acciaio traforato, bellissimo nel contrasto con l’arancione della carrozzeria e il nero degli interni. Notevoli anche i fari a scomparsa che avrebbero spopolato nel decennio successivo, anche quando non necessari. In questo esempio di design invece sono perfettamente integrati con una linea bassissima e molto pulita. La critica che non possiamo esimerci dall’avanzare è tutta nell’uso, qua ancora moderato, del nero per prese d’aria e paraurti -ma anche lo splendido volante in legno è per metà di questo colore- che diventerà la norma nelle vetture del decennio venturo.
Un design dunque precursore dei tempi ma al contempo classico, con una linea immortalate, semplice ed efficace, da vera GT. Inoltre, come su ogni concept car ben fatta, sono i dettagli che la distinguono e la esaltano.
Tuttavia a differenza dei moderni concept, questa GT poteva contare su un motore, anzi due, decisamente invidiabili. Inizia infatti la sua carriera con un V8 Massimino da 3,5 litri, sostituito già l’anno successivo con un Alf Francis M-167 della stessa cilindrata, in grado di sviluppare ben 320 cavalli, accorpato a un cambio a 5 rapporti. L’auto sarebbe quindi perfettamente in grado di andare in strada, anche se non è mai stata registrata e al momento dell’asta era bisognosa di un restauro: chissà che non si vedrà fra qualche anno a un concorso d’Eleganza…
Del resto sono anche le sue potenzialità come auto stradale che le hanno permesso di raggiungere la cifra di 453.000 € alla recente asta tenuta da ArtCurial al Rétromobile di gennaio.

Tirando le somme di questo magnifico ed eroico esperimento non possiamo che citare ancora una volta una vettura che deve molto a questo concept, vale a dire la Pantera e ovviamente il suo realizzatore de Tomaso, che riuscì partendo anche da quest’auto a realizzare una GT innovativa di largo consumo.
Per la Serenissima rimase invece una delle numerose one-off, frammenti di un sogno che Volpi non riuscì mai a realizzare, ma che forse era in realtà già compiuto: le numerose singole stelle della costellazione di questo Leone Marciano brillano ancora nella storia dell’automobilismo.