Da qualche giorno si rumoreggia della futura presentazione di una nuova Bugatti, una one-off probabilmente, al salone di Ginevra. Niente di nuovo fino a qui. Se non fosse per due fatti, per il primo siamo felici, per il secondo meno. Tuttavia per il primo bisognerà attendere la fine dell’articolo, ci scoccia dover trattenere il lettore, ma è funzionale alla narrazione. Perciò aspetterete. Il primo indizio è presto svelato, lo è già stato nel titolo dell’articolo: Bugatti si appresta a presentare una nuova interpretazione della Sacra 57 SC Atlantic.
A dir la verità ogni singola vettura prodotta da quando la nobile azienda è di proprietà del gruppo Volkswagen presenta caratteristiche dell’Atlantic, per esempio presentano sempre una certa crestina atta a ricordare la rivettatura del celebre modello. Più che altro un’increspatura nel cofano, ma comunque una dedica chiara a una delle vetture più iconiche di tutto il patrimonio storico di La Marque. Ma qui non si parla di una dedica, si mormora di una nuova Atlantic.
Del patrimonio e degli eredi
Patrimonio storico bugattiano dunque, dove attingere per trovare idee stilistiche, per trovare qualche ispirazione, magari anche a cui dedicare qualche versione -tra cui La Voiture Noir, una delle sei Veyron dedicate a Les Legendes Bugatti- ma non un intero modello. Vedremo il risultato, ma basti pensare che la Ferrari, a cui come la Bugatti non mancano certo modelli del passato da imitare, non ha mai voluto emulare direttamente le sue grandi vetture, tranne forse la P4/5.
Nessun tentativo di ripetizione di esemplari storici dunque, che pure può essere comprensibile per alcune vetture: pensiamo alla Ford GT del 2004 e alla GT40, due auto quasi identiche esternamente, a prima vista difficilmente riconoscibili e con quarant’anni di differenza. Però era la Ford GT, un’auto che appena uscita si ritagliava uno spazio tutto suo nella storia dell’automobilismo, senza rivali nel design e quasi fuori dal tempo, con una linea sempre attuale nei decenni successivi.
La Bugatti Atlantic è invece ben radicata nel suo tempo: inserita nel ricchissimo filone delle vetture à goutte d’eau e figlia di uno dei modelli di maggiore successo degli anni ’30, è un’auto unica per molti aspetti ma decisamente radicata in una precisa connotazione storica e stilistica. Secondo molti, noi compresi, rappresenta uno dei vertici dell’automobilismo mondiale, la Cappella Sistina delle auto. Paragone non del tutto campato in aria e che approfondiremo nel prossimo paragrafo
Di come la Storia, tornando sui suoi passi, spesso sbagli strada
Il passato è passato, sfortunatamente. E il futuro è una terra inesplorata che il più delle volte riserva sorprese. Ogni tanto no, ma il mondo delle auto è uno strano paese, sopratutto nei tempi più recenti. Certamente lo era anche negli anni ’30, prima che venisse spazzato completamente via dal vento della seconda Guerra Mondiale. Pur tuttavia, mentre l’avvenire si futura per vie misteriose e solitamente discordanti con le aspettative, il passato è ragionevolmente congelato nel proprio essere: è documento, letteratura ed esempio. Per lo meno lo è nel mondo delle auto. Ed ovviamente in quello dell’arte.
Sia l’arte che le auto d’epoca non muoiono, sono già morte, bisogna però fare attenzione che non si corrompano: vanno custodite, restaurante, preservate. Nella forma e nella sostanza: occorre avere davanti un quadro in buono stato per poterlo apprezzare, così come occorre essere prepararti per poterlo capire. Se per il primo l’originalità è il valore d’aver scolpito nel cuore, per il secondo occorre avere la Storia dalla nostra parte, possedere la Cultura, godere della Conoscenza di coloro che sono passati.
Chiunque può ammirare un’icona del XII secolo, ma è evidente che per un cristiano abbia un significato arricchito da una componente religiosa-culturale. Chiunque può ammirare il Partenone ed i suoi fregi, ma diverso è analizzarli, capirli, studiarli con riguardo all’epoca in cui vennero scolpiti. Non è la stessa cosa ascoltare Metamorphosen di Strauss con un paio di cuffiette e sentirlo suonare mentre le macerie dei teatri bruciano ancora per le strade d’Europa. In breve: occorre immergersi nell’arte per poterla apprezzare appieno.
E che dire allora di un’auto? Possiamo forse godere delle sole due Atlantic originali come fossimo appassionati degli anni ’30? Peter Mullin e Ralph Lauren provano le stesse emozioni di Lord Rothschild e Richard Pope quando le ammirano nel loro garage? Nutriamo dei dubbi: il tempo passa e la sensibilità pure, al tempo dell’uscita er aun’auto iconoclasta, ora è un grande classico. Il mondo gira e stritola nei suoi ingranaggi trilioni di pensieri, infinite emozioni. Ma non è del singolo affetto che si parla in questo caso, ma dello stato del mondo che può produrre quell’affetto.
Se il Papa si facesse affrescare una stanza come la cappella sistina sarebbe considerato al pari di Giulio II? E l’artista come Michelangelo? La priorità al giorno d’oggi non è certo l’arte, il rinascimento -o l’insieme di rinascimenti che nella storia si sono susseguiti- non aleggia nel Vecchio Continente e solo qui può posare le sue ali. E’ un’epoca di stallo. In compenso ci sono molti meno omicidio politici e muore molta meno gente per avvelenamento che nel ‘500.
Non siamo nemmeno in un periodo di decadenza, siamo decaduti e basta, vergognandoci per altro delle nostre rovine. Tanto da doverne fare di nuove. L’Atlantic non va più bene nel XXI secolo? Facciamone un’altra. Gli acquirenti? Speriamo i già proprietari delle VERE Atlantic, ma temiamo quest’auto saranno appannaggio di qualche mamelucco, o di alcuni ricchissimi asiatici. Destino curioso per un’auto i cui due esemplari superstiti appartenevano all’erede della più importante famiglia ebraica al mondo e a un signore che per cognome aveva la più elevata carica della cristianità. Proprio per questo non ci sembra corretto rievocare il celebre nome Atlantic per questo, sarebbe più corretto Pacific o ancora Persian.
La 57 SC Atlantic è stata un preciso punto nella Storia dell’auto, un evento che ancora oggi noi appassionati celebriamo, ma che non giustifica il tentativo di riportarla in vita. Speriamo di sbagliarci, ma l’auto che sta per essere svelata al più mediaticamente importante dei saloni automobilistici, non potrà mai essere paragonabile all’originale. Ha senso perciò screditarne così il nome?
Dell’Uomo della Provvidenza
Forse un po’ esagerato, ma il diretto interessato non si offenderà di certo, stiamo parlando di colui che è stato per cinquant’anni uno degli uomini più potenti nel mondo dell’automobilismo, nonché della Germania: Ferdinand Piëch. I suoi meriti sono innumerevoli e i più citati sono la creazione della 917 e ovviamente la rinascita della Bugatti, per cui diede tre numeri: 1000 cavalli, 400 km/h, 3 secondi. Si mormora che l’ormai pensionato magnate abbia commissionato una vettura da ben 16 milioni di euro alla Casa che fece risorgere. Una cifra veramente astronomica, con cui ci si compra una bella California Spyder.
Per paragone il prezzo più elevato per una vettura nuova è ufficialmente quello di 8 milioni per la Rolls Royce Speedtail dell’anno scorso, la metà. Avrebbe quindi senso ipotizzare che la vettura commissionata dal Dr Piëch e la futura Atlantic possano essere la stessa auto. In questo caso non saremmo così critici, la merita. Certo, occorre notare che scomodare Bugatti per realizzare la vettura di un discendente di Ferdinand Porsche, ai tempi ingegnere delle arcinemiche Auto Union e Mercedes, non ci pare un bell’omaggio a Le Patron.
Del futuro della Bugatti
Che fine può fare un marchio che vive di ricordi? Sembrerebbe vicina l’uscita di una Hypercar prodotta dalla rediviva Hispano-Suiza. Ha senso un’operazione del genere? Magari dal punto di vista del marketing può anche essere una mossa vincente, ma i morti vanno lasciati nei cimiteri, non tirati fuori a viva forza dalle tombe per prender parte a un teatrino che nella migliore delle ipotesi porta a uno stravolgimento della loro storia.
Certo, nel mondo, e sopratutto per le auto, vale il vecchio adagio che senza storia non c’è futuro, un certo pedigree fa gola ai possibili acquirenti e anche lavorare per la Bugatti è un buon incentivo per designer ed ingegneri, ma serve maggiore autonomia nel mondo delle auto. La Bugatti di adesso non c’entra nulla, ma proprio nulla, con quella di Ettore Bugatti, così come non c’entrava nulla quella di Artioli. Il marchio Bugatti è morto con Jean Bugatti nel ’39.
Se si liberasse del passato -sembra paradossale dirlo, sopratutto da parte nostra- potrebbe veramente rendere giustizia al marchio da cui trae indebitamente il nome. Del resto Jean Bugatti ruppe ogni schema precedente per realizzare l’Atlantic e ottenne un capolavoro unico, ma si sa che, per dirla con Toqueville, l’histoire est une galerie de tableaux où il y a peu d’originaux et beaucoup de copies.