Senza passato non c’è futuro. Ne ci sarebbe un presente. Senza passato é evidente che nulla sarebbe. È questo lo sanno bene i grandi marchi che hanno vinto nei più importanti circuiti mondiali. E lo sanno spiegare senza renderlo cosi noioso
Al momento ogni categoria sportiva è dominata da marchi storici, con i migliori pedigree immaginabili e i background più disparati, ma perfettamente conservati anzi accresciuti nel tempo. Pensiamo a mercedes, Ferrari, Porsche, Toyota. Perfino nella formula E sono i marchi storici a prevalere, a dominare e, in fin dei conti, a guadagnarci. Eppure una volta erano anche loro dei novellini, in compagnia di altri novellini. Quando la storia non andava semplicemente scritta, andava pensata, iniziata e programmata. Passarono 47 anni dalla prima 24 ore alla prima vittoria Porsche: ne son passati 48 da quella data a oggi. Il tempo vola e trascina con se le auto e i loro produttori. Spazza via una casa automobilistica dopo l’altra: delle 22 case che hanno vinto sul celebre circuito moltissime sono fallite almeno una volta, altre ancora non esistono semplicemente più.
È incredibile pensare alla quantità di persone, di tempo, di energie utilizzate in 95 anni per arrivare ad alzare la tanto ambita coppa, per riuscire a percorrere più metri possibili in un tempo tutto sommato brevissimo considerando lo sforzo. E che fine ha fatto tutto quell’impegno? Tutte quelle energie? Tutte le persone, le idee, il denaro? Perché anche di denaro si tratta, di una vera montagna. Ford spese una cifra mostruosa per battere Ferrari. E lo stesso fece Porsche per battere Ford.
Fortunatamente quel fiume d’oro non si è seccato nel tempo lasciando sul suo vuoto letto gli scheletri delle case passate. Ha portato invece al mare magnum delle corse d’epoca, un mercato crescente e in cui vengono investite sempre più risorse. Al vertice non ci può che essere Le Mans Classic, come del resto al vertice delle corse moderne c’è ancora la celebre 24 ore.
Non c’è, ne forse ci potrà mai essere, un epoca per le auto da corsa come quella compresa tra gli anni ’20 e la fine degli anni ’70. Ci saranno grandi auto, grandi piloti. Non ci sarà più la stessa atmosfera. E se è innegabile che una vita umana vale più di tutte le auto del mondo, non possiamo che guardare con malinconia a quel periodo. Così come pure molti piloti, che pure si sono battuti per cambiarlo. E’ quindi incredibile quello che si è riusciti a fare nel rievocare nella massima sicurezza il valore che le corse hanno rappresentato per ormai più di cent’anni. Per i piloti, per gli spettatori e per tutti coloro che lavorano per ricreare una vera e propria macchina del tempo. Peterauto è da anni leader in questo e l’edizione di quest’anno ha saputo unire con incredibile puntualità ogni singolo aspetto della 24 ore. Pensiamo per esempio alle corse vere e proprie (6 classi dal 1923 al 1981, gruppo C e World Endurance Legends) e ai tributi (Porsche, Jaguar e Alpine). L’emozione nel vedere correre insieme una D-type e una xj-15, il paragone tra 911 GT1 e 919, la competizione tra F1 ed sp333. E’ veramente pazzesco. Il tutto per quasi 36 ore! Nella più assoluta puntualità e spettacolarità.
Che dire quindi delle auto in gara? Molto, moltissimo. Ogni classe ha avuto grandiose battaglie, imprevisti -come non citare la gt40 che ha corso con la portiera aperta- e duelli che fino all’ultimo giro hanno mantenuto altissima l’attenzione e il tifo per auto non solo costosissime ma dall’incredibile valore storico. La lotta tra 250 Breadvan, DB4 gt e tipo 61 birdcage è stato forse il vertice e quella che saputo meglio immergerci in un epoca passata, dove la battaglia poteva essere tra un auto stradale, un esemplare con carrozzeria unica e un auto progettata per essere semplicemente il più veloce possibile. Potendoci passare a fianco poco dopo, ancora calde nei box.
Che magia. Che auto. Che spettacolo
L’immagine della Renault è stata scattata da Christophe Jouniaux.
L’immagine delle Ford e la foto aerea dell’evento sono di Pierre-Yves Riom