Dopo i tumultuosi primi anni ’30, culminati con l’acquisizione da parte di Rolls Royce, Bentley si ritrovò ad essere la stampella alla produzione di quel che era stato per quasi vent’anni suo acerrimo nemico. La qualità venne fatta calare, i sogni di Le Mans erano ormai lontani: i pochi anni trascorsi nascondevano in effetti la storia di ben altro brand. Bentley era morta, i Bentley Boys un ricordo.
Un incipit molto triste, ma si tratta sfortunatamente della realtà. Rolls Royce non è mai stata generosa con i propri acquisti, basti pensare anche al destino di Riva, il cui destino sembrava ancor più nero di quello di Bentley. Tuttavia i germi della ripresa si trovavano ancora nella fabbrica di Crew e qualcuno ebbe l’idea, verso il 1938, di adoperare le scarse auto in produzione per creare qualcosa di sorprendente, in grado di far capire le reali potenzialità degli artigiani che avevano dato vita alla Blower. Poiché il supporto dell’alta direzione -e dell’azienda proprietaria- mancava, si scelse di agire autonomamente e di appellarsi al Continente.
Il carrozziere scelto per l’arduo compito di creare una vettura veloce, elegante ed emozionante -e forse era proprio quest’ultima la conquista più ambita da Bentley- dovette essere per forza l’unico che si era dimostrato capace di coniugare questi aspetti distaccandosi in parte dalla moda del tempo. Facciamo una breve pausa: nella fine degli anni ’30 gli stili sportivi che più erano frequenti tra i grandi designer -parola che allora li avrebbe fatti inorridire- erano quelli appartenenti a due scuole, sebbene alcune auto li possedessero entrambi:
~ à goute d’eau, una linea molto bella, a volte anche molto elegante, che sottolineava la sportività della vettura descrivendo una linea fortemente discendente a partire all’incirca dal sedile, ovviamente sempre e solo a due porte. In genere questo coupé poteva garantire solo due posti, raramente con spazio sufficiente ai bagagli. Ne sono sommi esempi la Bugatti 57 SC Atlantic di Jean Bugatti e la Talbot Lago T150 C SS di Figoni et Falaschi
~ streamlined, in questo caso le vetture erano ben più sportive, spesso cabriolet, e con abbondanti cromature. Il peso di queste vetture era a volte eccezionale, basti pensare che le Mercedes 540 K superavano spesso le due tonnellate. La sportività veniva a scontrarsi con la necessità di creare auto sorprendenti ed emozionanti: spesso era la prima a soccombere. Maestro in questo genere fu certamente Saoutchick, ma si distinsero anche Figoni et Falaschi.
Se il problema di una carrozzeria streamlined realizzata cedendo alle lusinghe dell’acciaio cromato era certamente il peso, il problema di un puro goute d’eau era la mancanza di spazio, necessaria per una sportiva di lusso come voleva essere questa Bentley. La scelta ricadde quindi su un carrozziere che si era recentemente distinto in alcune Delage, marchio troppo poco considerato che realizzò negli anni ’30 alcune pietre miliari dell’automobilismo. Ovviamente parliamo della Delage D8 120 S Aerosport carrozzata da Pourtout su disegno di uno dei più illuminati stilisti dell’epoca: Georges Paulin. Sebbene non sia questo il momento di analizzare la vita di monsieur Paulin ricordiamo che oltre ad essere stato rinomato dentista e grande disegnatore di automobili, fu eroe della resistenza, collaborando con il secret service e venendo giustiziato nel 1942. Giustamente, oltre ai titoli che in giro per il mondo gli sono stati riconosciuti nei maggiori Concorsi d’Eleganza per le sue creazioni, lo stato francese gli conferì la Croix de Guerre e la Médaille de la Résistence. La carrozzeria disegnata da Paulin, sebbene meno pura di quella della più celebre Delage, è un capolavoro di equilibrio, fonte per la stessa Bentley di diverse idee stilistiche negli anni del dopoguerra.
Sfortunatamente, per realizzare una grande auto non bastano motore, chassis e carrozzeria, ma serve qualcuno che sia disposto a comprare il tutto. Questo qualcuno venne trovato in facoltoso armatore greco, André Embiricos, che commissionò la vettura ormai divenuta famosa tra i clienti dei grandi carrozzieri dell’epoca come tentativo di riportare in auge un brand come Bentley. Embiricos godete però della vettura per poco tempo, vendendola nel 1939 a Howard S. F. Hay, che corse con la vettura anche alla 24 ore di Le Mans del 1949, dimostrando la grande qualità di un’auto ancora competitiva che arrivò sesta assoluta.

L’auto fu un successo già nel periodo di prova e a Montlhéry, dove venne portata per alcuni test, superò i 200 km/h. Il tutto in una comoda 4 posti con spazio per bagagli e un elegante linea. Poteva essere il primo tassello della rinascita Bentley, ma lo sviluppo di ulteriori modelli venne bloccato prima dalla mancanza di risorse e poi dalla scoppio della guerra. Si trattava certamente di una GT, sebbene appartenente a quel tipo di GT che poterono esistere solo negli ’30, dove non c’era distinzione netta tra una supercar e un’auto da turismo. Per avere questa differenza netta dovremo aspettare molti anni, probabilmente fino all’avvento della Miura, ma la connotazione di gran turismo è chiara e ben distinta già negli anni ’50. Proprio in quegli anni, precisamente nel 1952, venne introdotta sul mercato la Bentley R type Continental, erede diretta della Embiricos e capostipite di tutte le gran turismo della flying B.
Non potevamo quindi far partire il nostro viaggio intorno alla Bentley Continental senza parlare ella sua più vicina antenata. La Embiricos ha rappresentato più un sogno e una speranza che una semplice auto e rimane per gli appassionati uno dei più grandi what if… della storia del’automobile. Probabilmente senza guerra mondiale Bentley non sarebbe riuscita a ottenere quello spazio di autonomia che le concesse Rolls Royce nello sviluppo della Continental, ma pensiamo che la Embiricos avrebbe in ogni caso portato a qualcosa di simile alla R Type: i semi del successo di Bentley sono tutti in quest’auto.